Il ritorno della Musa
Giuditta Sin rievoca le Muse di Boldini
Di Barbara Vincenzi
Pochi giorni fa per le strade del centro storico di Ferrara era possibile ammirare una vera Musa di Boldini. Vestita in abito da sera nero ricamato, con l’ampio cappello ornato di nastri e piume di struzzo, e ombrellino nero, in stile Belle Époque.
La modella dai tratti delicati, la corporatura esile e la pelle bianchissima, è Gabriella Giuditta Infelise in arte Giuditta Sin.
Io e il fotografo Vittorio Colamussi, l’abbiamo seguita durante la sua intera performance, nel tragitto da piazza castello a via Ercole I D’Este, fino al Palazzo dei Diamanti, venuta in vista alla mostra “Boldini e la moda”, per omaggiare il pittore a cui si è ispirata per il suo happening a sorpresa.
L’abito indossato da Giuditta Sin si ispira alla marchesa Casati, non solo nelle forme, ma nell’iconografia che ne rappresenta tutt’oggi: nel desiderio di divenire lei stessa un'opera d'arte e fonte poetica di molti artisti.
Ma quale è la storia della giovanissima Giuditta Sin?
Nata a Chicago e residente ormai da anni a Roma Giuditta inizia dalla danza classica, prosegue il suo percorso con spettacoli di burlesque. Via via sia avvicina sempre più all’arte che interpreta come musa e modella; in questo ambito ha da poco indossato i panni di Paolina Borghese nel film su Canova diretto da Angelo Cricchi. I diversi atti performativi che ha concepito in questi ultimi anni, la mettono in relazione, come lei stessa specifica, con l’arte pura e i Tableau vivant. Si è esibita in vari Festival, da New York a New Orleans a Berlino, oltre che in molte città italiane.
Le chiedo perché rievocare una Musa di Boldini?
La sua risposta è semplice: si sente affine al periodo storico che va dalla fine dell’Ottocento fino agli anni Trenta. Lasso di tempo in cui si immedesima maggiormente per stile e eleganza.
Giuditta Sin considera Boldini alla stregua di un fotografo di moda odierno. Il pittore ferrarese è difatti noto nella Parigi di fin de siècle, per aver ritratto l’élite cosmopolite alla moda, tanto da rendersi interprete di un’epoca e da celebrarne ambizioni e raffinato narcisismo, e Giuditta sembra proprio incarnare le donne che Boldini ha celebrato nei suoi dipinti.
Il suo atto performativo e il suo ingresso in mostra ha destato enorme stupore: per tutto il tempo della visita è stata circondata da ammiratori che cercavano di catturarla in una istantanea, mentre posava davanti ai quadri delle dame a lei somiglianti.
Le chiedo cosa vuol suscitare nei suoi happening?
Mi risponde che le sue performance sono create per destabilizzare con delicatezza e meravigliare il pubblico. L’abito indossato e la modella, si fanno portavoce di messaggi che vogliono richiamare all’eleganza e alla bellezza, sottendendo a significati più profondi: in un’epoca in cui la bellezza è frutto di chirurgia estetica e di sovrastrutture mediatiche, Giuditta Sin vuole restituire la femminilità di un passato recente, fatta di raffinatezza, di guanti di seta, cappellini e abiti armoniosi e aggraziati.
In tutte le sue performance evita l’aggressività, per regalarci un linguaggio estetico che mira alla sensibilità e al fascino femminile. L’arte pura, è dunque per lei uno stato di grazia: entrare in un ruolo storico o in un’azione artistica, ha sempre a che fare con la destrutturazione di qualcosa di esistente, e Giuditta Sin sceglie di scuotere lo spettatore attraverso il bello, la carezza, per sorprendere positivamente.
Attento e scrupoloso il fotografo Vittorio Colamussi è riuscito a cogliere l’essenza dell’intero happening: le foto fermano le pose accattivanti di Giuditta davanti ai dipinti e i suoi tableaux vivant diventano, scatto dopo scatto, quadri nel quadro.
Si ringrazia per il supporto l’associazione White Paper Art e della galleria ferrarese La Stanza di Lucrezia, dei Blood Brothers, e di Sangue Blu event.